sabato 24 maggio 2008

Architetti: la moda non fa paura

Polemiche Fa discutere la tesi dell' antropologo Franco La Cecla sui danni causati dallo style-system alle città
Architetti: la moda non fa paura
Botta: «È un male passeggero». Koolhaas «Finita l' età delle teorie»
La moda ha ucciso l' architettura o l' ha solo ferita? Per alcuni progettisti la tesi contenuta nel libro di Franco La Cecla Contro l' architettura (presentata ieri sul Corriere) non coglie nel segno: i sistemi della moda e della comunicazione, al massimo, hanno ferito l' architettura... che con un buon cordiale si riprenderà. Ma critiche e approvazioni all' invettiva dell' antropologo milanese sono di segno diverso, talvolta opposto. E questo va a suo favore. Rem Koolhaas, per La Cecla il «trend setter» di Prada, autore del breviario nichilista dell' architettura contemporanea, Junkspace (Quodlibet), non può che ribadire una tesi già espressa al Congress centre di Londra nell' intervento Dilemmas in the evolution of the city: «C' è stato un periodo in cui sapevamo esattamente quello che dovevamo fare: molti hanno scritto manifesti, dichiarando quello che stavamo facendo e alcuni hanno realizzato quei manifesti. Negli ultimi 15 anni, a causa dei nostri errori, la cultura è cambiata, e quella fede nel sapere ciò che dovevamo fare è crollata completamente. Oggi non scriviamo più manifesti, ma al massimo ritratti di città particolari, non con la speranza di sviluppare una teoria su cosa fare, ma solo con quella di capire come sono attualmente le città. La fiducia è completamente assente e ci vorrà tempo prima che ritorni». Su questa linea, ma in una forma tanto radicale da rigettare le tesi di La Cecla, è il progettista del nuovo Museo del ' 900 e del Just Cavalli Café di Milano, Italo Rota: «La moda non ha ucciso nessuno: un paio di jeans di Cavalli che migliorano la forma di un 60enne lo aiutano a vivere meglio, così come una casa a Dubai, che costa meno che in Brianza. La Cecla parla dello 0,1% del mondo degli architetti e ignora quindi il 99,9% dei problemi. Ad esempio, il fatto che i costruttori si stiano già spartendo le aree per l' Expo di Milano». Più comprensione per il j' accuse si trova abbandonando gli style-architect (ci sono anche Tadao Ando per Armani, David Chipperfield per Dolce & Gabbana...). Mario Botta, ad esempio, ritiene veritiere le critiche di La Cecla, ma toccano, afferma, «solo una degenerazione impietosa del nostro tempo. È vero che la moda ha spopolato in settori non solo di costume attraverso la pubblicità e altre forme edonistiche del vivere. Ora sembra contare solo l' immagine, ma non è così: l' architettura resta costruzione dello spazio in rapporto con un contesto, un' attività che lavora sul territorio della memoria. L' architettura è il risultato delle forze fisiche relative al processo di creazione. Se sono in atto solo quelle edonistiche è chiaro che la forma finale sia quella del decostruzionismo contemporaneo. Ma anche la moda passerà di moda». Un' analisi non dissimile è quella di Vittorio Gregotti, che di La Cecla, però, rifiuta la critica di «non assunzione di responsabilità» da parte degli architetti che hanno costruito alloggi popolari in periferia. Un tema, quest' ultimo, sul quale invece benedice le critiche di La Cecla il direttore del Domenicale, Angelo Crespi, che con il critico Nikos Salingaros ha bacchettato il decostruzionismo delle «archistar»: «Ogni civiltà ha costruito case che rappresentavano un modo di pensare e vivere; i nostri architetti fabbricano alloggi e mausolei per futuri cadaveri. Pensiamo alle periferie ideate dai modernisti: sono luoghi orrendi, degradati, in cui gli abitanti hanno come disvalore di riferimento il brutto. Pensiamo invece a quanto i borghi medievali, costruiti senza l' ausilio di urbanisti e architetti, siano integrati nel paesaggio e funzionali alla vita umana. L' architettura e l' arte hanno rinunciato a pensare in termini di bellezza». Ed è proprio Salingaros che, pur volendo riformulare l' idea di progetto su base «biologica» e «scientifica», accenna a vecchie nostalgie attraverso la citazione di alcuni amici, come Leon Krier, l' architetto classicista prediletto dal principe Carlo, e Michael Mehaffy, già «direttore educazione» della Fondazione del principe Carlo. «Leon - afferma Salingaros - non vuole mescolarsi negli affari italiani, ma dice che è totalmente disgustato della direzione che ha assunto l' architettura contemporanea italiana». Quanto a Mehaffy, afferma: «Questi progetti (il riferimento è al grattacielo di Libeskind per Milano) non aggiungono realmente qualcosa alla vita di una città, forse sono solo un' icona aziendale che potrebbe essere interessante guardare per un paio d' anni. Il prezzo urbano pagato, però, è molto elevato».
Panza Pierluigi
Pagina 57(23 maggio 2008) - Corriere della Sera