domenica 28 ottobre 2007

"Il grattacielo non oscurerà la mole"


Renzo Piano guarda i disegni e i plastici che da oggi al 13 gennaio 2008 sono esposti a Palazzo Madama
RENATO RIZZO
TORINO«Un grattacielo, a Torino, io l’ho già "costruito". E’ una torre che, invece d’essere verticale, è orizzontale: si chiama Lingotto. Allora l’ispirazione partiva inevitabilmente dalla forza della memoria evocata dall’ex fabbrica, in questo caso la spinta arriva dalla ricerca d’una sostenibilità ambientale, sociale e culturale. Ma alla base di tutto, qui come per l’immensa struttura di via Nizza, c’è sempre la voce del luogo: i suggerimenti che ti offre il contesto, la ricerca degli agganci possibili con la città. Di più: come fare in modo che la città adotti l’opera senza traumi». Renzo Piano guarda i disegni e i plastici che da oggi al 13 gennaio 2008 sono esposti a Palazzo Madama e che mostrano la pianta del capoluogo subalpino con quella sorta di astronave atterrata sulla Spina 2: il «suo» grattacielo progettato per Intesa-Sanpaolo. «Vede - spiega - come si integra con la grandiosità di quest’area?». Dipende dai punti di vista e dalle interpretazioni: certi suoi colleghi, intellettuali e non pochi politici sostengono che la torre, o il «torrone» come qualcuno già l’ha definita, sarebbe un corpo estraneo nello «sky-line» di Torino.«È un edificio che non è né aggressivo né arrogante. Non s’impone al contesto in cui sorge: è una costruzione che sconfinerà in un parco e sorge in una zona di grande ampiezza e ariosità. Le sue caratteristiche sono la leggerezza e la sostenibilità. E, in più, la capacità di riflettere l’atmosfera della città».Una battuta per chi storce il naso di fronte al suo lavoro.«La discussione è sempre benvenuta, purché poggi su basi vere. Purtroppo, oggi, c’è la tendenza a radicalizzare il dibattito. Si parla tanto di modernità e di diffidenza nei confronti di ciò che questo termine sottende: ma che cosa significa davvero modernità? Nel suo nome sono state partorite autentiche schifezze, ma non dimentichiamo che anche la Mole Antonelliana, ai suoi tempi, era moderna. I tram? Non erano più moderni dei bus che li hanno sostituiti? Sono valutazioni che ci porterebbero lontano».Architetto, torniamo al grattacielo: ci spiega da dove derivano la sostenibilità e leggerezza di cui parla?«Incominciamo dalla struttura: è di vetro, darà all’edificio un aspetto trasparente. Meglio ancora, brillante. La torre "respirerà". Nel realizzare i solai in cemento armato, per esempio, abbiamo fatto in modo che catturassero il fresco delle notti, una caratteristica del clima estivo di Torino. Questa ventilazione naturale consentirà, l’indomani, d’accendere gli impianti d’aria condizionata tre-quattro ore più tardi. Con un energico taglio alla bolletta. E, poi, non dimentichiamo l’attenzione che abbiamo dedicato alle esigenze della gente».Vuol dire che avete voluto coniugare insieme lavoro e svago in un oggetto che riguarda pur sempre una grande banca? «Lo sforzo principale è stato proprio questo: evitare che la torre apparisse come un emblema del potere. Smontare, cioè, la simbologia quasi connaturata allo stereotipo del grattacielo. E abbiamo tentato di farlo aprendolo alla fruizione pubblica. Ogni costruzione è il racconto d’una storia che si sviluppa frammento dopo frammento: questa non vuole raccontare storie d’arroganza».La gente, allora. Come potrà godere di quella che lei ha definito «una lanterna magica»?«C’è il grande parco dove passeggiare nel verde, l’asilo per portarci i bambini, i bar, il ristorante panoramico, la pinacoteca, la terrazza che offre una visione magnifica della città con la cerchia delle montagne e il fiume che scorre pigro, in lontananza. Lassù, l’ultimo piano a 180 metri: il luogo che chiameremo "del sogno", "della contemplazione". E, poi, c’è l’auditorium, il luogo dello svago e della cultura, ricavato nella parte più bassa della torre. Io voglio che le persone, quando sollevano gli occhi, vedano questa sala, non l’ufficio del presidente della banca».

sabato 27 ottobre 2007

Grattacielo - San Paolo Torino IMI - Renzo Piano


"Quel grattacielo oscurail simbolo di Torino"
Nasce il comitato contro la torre Intesa-SanPaolo
ALESSANDRO MONDO
TORINO.

Più che un dibattito, è stato un processo. Nel mirino, la sostenibilità del grattacielo che accorperà gli uffici di Intesa-Sanpaolo su Spina2 e l’assenza di un dibattito a largo raggio. Scelta calata dall’alto, quella della «torre» firmata da Renzo Piano?Una cosa è certa. Ieri, a poche ore dall’illustrazione del progetto che ha vinto il concorso internazionale (oggi sarà presentato con gli altri concorrenti nella mostra a Palazzo Madama), il «fronte del no» ha scaldato i muscoli. L’occasione è stata l’incontro organizzato dalle associazioni ambientaliste per contestare il progetto del «torrone» su Spina2, come è stato spregiativamente ribattezzato, e gli altri grattacieli in lista di attesa.Tanto per cominciare, è nato un Comitato presieduto da Guido Montanari, Emilio Soave e Roberto Gnavi. Il nome è tutto un programma: «Non grattiamo il cielo di Torino». La prima mossa è prevista questa sera, quando il Comitato si troverà a Palazzo Madama per recapitare un appello simbolico «alla elite che inaugura la mostra». Occasione ghiotta, dato che si prevede la partecipazione di Enrico Salza, presidente Consiglio di gestione Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, amministratore delegato del colosso bancario e lo stesso Piano. Domani (9,45-11) seguirà un presidio.La seconda notizia è che la commissione urbanistica del Comune non ha liberato la variante al piano regolatore, ultimo atto in vista della costruzione del grattacielo da 180 e rotti metri. «Nessuna pregiudiziale- spiega Andrea Giorgis, capogruppo dell’Ulivo -. Abbiamo solo chiesto un supplemento di informazioni». Ma tant’è. Del resto lo stesso Viano, che ieri è andato nella tana del lupo, ha ammesso «perplessità» anche in maggioranza: «Sugli aspetti tecnici chiederemo tutte le garanzie. Quanto all’impatto visivo, è giusto inaugurare un dibattito che tenga conto del parere di tutti». Lo sviluppo della «torre» in altezza, invece, non sembra preoccupare più di tanto l’assessore all’Urbanistica: «Il passaggio da 150 a 180 metri non è poi così significativo». Nell’incontro sono state riproposte tutte le obiezioni sollevate dal progetto, con qualche autorevole sorpresa. E’ il caso di Piero Derossi, docente di Composizione architettonica al Politecnico di Milano, che pur non essendo presente ha mandato un messaggio dal contenuto abbastanza netto: «Se è vero che i grattacieli sono dei simboli, bisognerebbe decidere a chi permettere di essere un simbolo. Occorre un dibattito vasto». Per Guido Montanari, Storia urbanistica, «il problema non è la qualità del progetto ma il contesto in cui si colloca. Torino vanta scorci visivi straordinari, già rimessi in discussione dalle ultime trasformazioni urbane». Secondo Carlo Olmo, direttore dell’Urban Center e curatore della mostra, «il grattacielo va valutato per quello che è, con serenità. Per questo organizzeremo un dibattito pubblico». Perplesso Luca Davico, docente di Sociologia ambientale al Politecnico: «Spina2 ha una forte concentrazione di poli di attrazione, c’è il rischio di creare una congestione spaventosa».Il più «tranchant» è stato Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, secondo cui la nuova «torre» rappresenta l’emblema dell’insostenibilità ambientale applicata «a scenari caratterizzati da bassa densità energetica». «Scenari di drammaticità estrema, che in effetti non abbiamo considerato...», ha cercato di rintuzzare Viano, preso in contropiede dall’Apocalisse annunciata.

martedì 23 ottobre 2007

STUDI E PROPOSTE PRELIMINARI PER IL PIANO REGOLATORE DELLA VALLE D'AOSTA

Direzione Generale
DOTT. ING. ADRIANO OLIVETTI

Parte introduttiva e generale del piano
RENATO ZVETEREMICH
DOTT. ING. ITALO LAURO

Piano del versante italiano del Monte Bianco
ARCHITETTO GINO POLLINI
ARCHITETTO LUIGI FIGINI

Piano regolatore della Conca del Breuil
ARCHITETTO LUDOVICO B. DI BELGIOJOSO
ARCHITETTO PIERO BOTTONI

Piano regolatore di Aosta
ARCHITETTO GIAN LUIGI BANFI
ARCHITETTO ENRICO PERESSUTTI
ARCHITETTO ERNESTO N. ROGERS

Piano regolatore della stazione turistica di Pila
ARCHITETTO GIAN LUIGI BANFI
ARCHITETTO ENRICO PERESSUTTI
ARCHITETTO ERNESTO N. ROGERS

Piano regolatore di un quartiere di abitazione a Ivrea
ARCHITETTO GINO POLLINI
ARCHITETTO LUIGI FIGINI


Le premesse del Piano regolatore della Valle d'Aosta di giorgio Ciucci

Il Piano regolatore della Valle d'Aosta è, ancora oggi, una delle più interessanti e affascinanti proposte elaborate dalla cultura architettonica e urbanistica italiana degli anni Trenta.
Elaborato fra il 1936 e il 1937 da un gruppo coordinato da Adriano Olivetti, che ne è il promotore, il Piano porta la firma degli architetti Antonio Banfi, Luigi Figini, Ludovico B. di Belgiojoso, Piero Bottoni, Enrico Peressutti, Gino Pollini ed Ernesto Rogers, con la collaborazione di Renato Zveteremich, direttore dell'ufficio pubblicità della Olivetti a Milano, e dell'ingegnere Italo Lauro.
Le vicende del Piano sono state in gran parte già ricostruite e più volte si è messo in evidenza come sia fondato su un'imponente quantità di indagini e analisi, preliminari alla stesura dei singoli piani di intervento, e come sia figlio delle idee urbanistiche che si affermano ai Congressi internazionali di architettura moderna (Ciam), in particolare quello di Atene del 1933, dedicato alla città funzionale.

sabato 13 ottobre 2007

Le Corbusier - Urbanistica

"L'urbanistica è l'espressione, rappresentata nelle opere dell'ambiente costruito, della vita di una società. Di conseguenza, l'urbanistica è lo specchio di una civiltà" Le Corbusier 1946.




Ville Contemporaine de 3 Millionsd'Habitants - 1922

Questa proposta urbanistica non è stata pensata per un contesto specifico ma si struttura come un ipotesi di laboratorio, una sorta di esperimento scientifico, in cui venogno introdotte una serie di problematiche da studiare e verificare, che possono essere riassunte come segue:

- decongestionare il centro;

- acrrescere la densità abitativa del centro;

- incrementare i sistemi della circolazione per favorire la mobilità;

- aumentare le superfici alberate.

Al centro della città, una piattaforma per l'atterraggi degli aero-taxi, connessa verticalmente con altre linee di trasporto. Nelle quattro direzioni cardinali due strade sopraelevate larghe circa 40 m per il rapido attraversamento della città e, nei diversi livelli del sottosuolo, le linee metropolitane urbane e territoriali. Nella parte centrale, ai piedi dei grattacieli degli affari, aree verdi e parchi attrezzati con ristoranti, caffé, teatri. Tutto intorno la redidenza collettiva, configurata secondo modelli spaziali distinti.Da una parte le strutture pubbliche e istituzionali, le università e i musei; dall'altra i quartieri artigianali e industriali.
























Parigi - 1925 Plan Voisin

Il piano è destinato al centro di Parigi.

"Il Plan Voisin non ha la pretesa di apportare la soluzione esatta e definitiva per il centro di Parigi. Ma puiò servire per elevare i temi della discussione a un livello conforme all'epoca in cui viviamo e a porre il problema in una scala più corretta."
Il diagramma segue gli assi preesistenti della griglia urbana di Parigi. L'impianto viario riflette sostanzialmente l'ordinamento oroginario della vecchia Lutéce. Anche la dimensione dei lotti tiene conto dei quartieri storici.


Algeri - 1930

Projet-Obus, vista di insieme e planimetria generale .















"Io ho immaginato di fare di Algeri una ville radieuse. In questo sito straordinario - cielo, mare le montagne dell'Atlas - ho previsto per ciascuno, vale a dire per ognuno dei 500.000 abitanti che molto presto costituiranno la popolazione di una capitale dei tempi moderni, il cielo, il mare e i monti per riempire con il loro spettacolo riconfortante e gioioso le grandi finestre dei loro alloggi. Lo ripeto, per ciascuno. Questo può essere l'effetto di un piano urbanistico."

Il progetto, sviluppato in 4 anni a partire dal 1930 ha prodotto 3 soluzioni. La base del ragionamento urbanistico è caratterizzato da tre segni forti:

- la città degli affari (imponenti edifici per uffici collocati a livello del mare rivolti verso il Mediterraneo, individuati nel quartiere fatiscente della Marina già destinato alla demolizione)
- un'area per la residenza (contrassegnata da volumi curvilinei connessi tra loro, situati sul terreno collinoso retrostante e collegata alla città degli affari con un passerella veicolare)
- un'autostrada sopraelevata che mette in relazione le aree periferiche alle due estremità della città, disegnata con un andamento sinuoso, parallelo alla costa e a una quota variabile fra i 60 e i 90 m sotto cui sono previsti alloggi per gli abitanti.


Barcellona 1933

Nel 1933 in collaborazione con José Luis Sert, Le Corbusier viene invitato dal Presidente Macia, da cui prese il nome il piano, a redigere una proposta urbanistica per la città di Barcellona.

Il problema consisteva soprattutto nell'assetto del porto e delle zone limitrofe. La ricerca interessante è relativa al tentativo di adeguare il "carré espagnol" di Cerdà (133 metri di lato) alla propria griglia di 400 x 400 m, ritenuta più adatta alla circolazione urbana.





Ville radieuse - 1935
Il mondo non è "vecchio", sostiene Le Corbusier, ma pieno di forza e di fede. Ed in questo contesto e con questo spirito che presenta il nuovo "modello" teorico, La Ville Radieuse, la città radiosa che "ispirata dalle leggi naturali e umane, tenterà di fornire a tutti gli uomini delle civiltà macchiniste le gioie essenziali". E ripete che i veri materiali dell'urbanistica sono semplicemente:
il sole, il cielo, gli albero, l'acciaio, il cemento, secondo quest'ordine e con questa gerarchia. Ma nel contempo riafferma che un alloggio, un quartiere o una città dovrebbero essere definiti "organismi". Questa parola esprime spontaneamente la nozione di carattere, equilibrio, armonia e simmetria.

Le Corbusier ritiene che l'urbanistica:

"E' una scienza a tre dimensioni, indissolubilmente legate tra loro, e non a due dimensioni come praticano gli addetti ai lavori e come viene insegnato nelle scuole di architettura: tutto quello che interessa la superficie non può esistere che in un rapporto diretto con l'altezza. E questa è la chiave di ogni soluzione."















giovedì 11 ottobre 2007

Copertura in legno



Pianta copertura

Sezione AA






Particolare

sabato 6 ottobre 2007

Le Corbusier - La cité radieuse - Nantes

Le Corbusier - Le Plan Voisin

Una lezione di Le Corbusier

giovedì 4 ottobre 2007

Caisse d'épargne de la poste - Vienne 1910 Otto Wagner

Daniel Libeskind - Museo ebraico di Berlino

Bauhaus

Le Corbusier - Villa Savoye 02

Le Corbusier - Villa Savoye

Dove abitano le emozioni



Nei centri storici, noi ci troviamo a nostro agio, proprio perché viviamo la contemporaneità attraverso spazi sedimentati, luoghi vissuti che inconsciamente riconosciamo come nostri.M. Botta P. Crepet (con G. Zois), "Dove abitano le emozioni. La felicità e i luoghi in cui viviamo." Einaudi, Torino, 2007 pag. 12

L'urbanistica dell'800

Le condizioni abitative della città industriale















mercoledì 3 ottobre 2007

Storia dell'urbanistica di Vienna



Vienna e la sua trasformazione urbanistica.


"Le città imparano a pensare"

William J. Mitchell - La Stampa 03.10.2007 Tuttoscienze

"Le città imparano a pensare"

William Mitchell: contro il traffico ispiriamoci ai carrelli degli aeroporti
WILLIAM J. MITCHELL
MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY - USAChe sia tramite cavi o connessioni wireless, la Rete ha avvolto il mondo in modo sorprendentemente pervasivo. Per ora si limita a unire i singoli individui, ma nei prossimi 10 anni arriveremo a connettere tra loro anche le singole «cose»: edifici, dispositivi, elettrodomestici, auto. Tutto avrà il ruolo di nodo del network. È una vera e propria architettura nuova, tutta da studiare: le connessioni via cavo forniscono le infrastrutture e quelle wireless la mobilità, mentre i mezzi elettronici sempre più piccoli e poco costosi offrono punti d’accesso ovunque, le memorie digitali e le incrementate capacità di calcolo creano forme di intelligenza artificiale e, infine, i software e i contenuti on-line offrono funzioni sempre più diversificate.Le possibili applicazioni di questa rivoluzione sono infinite, così come i vantaggi che ne derivano. Strumenti sempre più piccoli e ormai quasi indossabili permettono di estendere le capacità individuali e consentono di liberare dai luoghi fissi attività un tempo sedentarie. Così la digitalizzazione delle comunicazioni tra le singole persone sta facendo nascere nuove dinamiche interpersonali. Interi edifici e anche intere città si trasformano in «macchine pensanti», che rispondono in modo autonomo e intelligente ai diversi cambiamenti del mondo esterno.Mobilità sostenibileNel nostro gruppo di lavoro al Massachusetts Institute of Technology - per esempio - stiamo studiando come creare un sistema di mobilità urbana sostenibile, efficiente dal punto di vista energetico e intelligente, con progetti come quello delle «Smart Cities», le città intelligenti.Un caso emblematico di come la connettività trasformi la mobilità urbana è il nostro «Car City Project». Stiamo progettando un sistema componibile di piccole auto per due passeggeri da mettere a disposizione degli utenti nelle aree urbane più densamente popolate. Questi veicoli dovrebbero sfruttare le infrastrutture già esistenti, come le metropolitane e le linee degli autobus, per creare un network di trasporti intelligente e alternativo rispetto a quelli tradizionali: piazzando queste auto in una serie di punti strategici, si darà ai cittadini la possibilità di combinare l’efficienza dei trasporti collettivi con la libertà della mobilità individuale.Nello schema che stiamo elaborando i punti di raccolta ricevono i veicoli e li ricaricano grazie all’energia elettrica: un po’ come i carrelli-bagagli negli aeroporti, l’utilizzatore arriva e prende la prima auto della fila. Questa - che abbiamo soprannominato «Zero car» - avrà un sistema di controllo completamente computerizzato e il guidatore lo dirigerà senza utilizzare i comandi tradizionali, come il volante, ma unicamente attraverso impulsi wireless al computer.Dati in tempo realeIn altri esperimenti, poi, abbiamo testato la possibilità di ottenere ed elaborare informazioni in tempo reale da tutte le apparecchiature elettroniche connesse in Rete e presenti in una città, ottenendo così indicazioni dettagliate sulla mobilità. Un esempio è il progetto «WikiCity Rome», messo in atto nell’ultima Notte Bianca a Roma: grazie a un sistema sviluppato dal mio gruppo di lavoro i dati delle reti di cellulari, di palmari e di dispositivi Gps, piazzati sui mezzi pubblici e sui taxi, sono stati raccolti e processati e hanno quindi fornito una mappa in tempo reale, dalla quale si ricavavano informazioni preziose sulla situazione del traffico, sulla presenza di punti critici e sugli itinerari alternativi da seguire.Si tratta di esempi di una realtà più vasta: il mondo nel suo insieme - e, scendendo, le metropoli e gli edifici che le compongono - stanno sviluppando un sistema nervoso artificiale tutto nuovo: si tratta di una conquista cruciale del XXI secolo. Se le case e i palazzi preindustriali sono lo scheletro e la pelle, le rivoluzioni industriali hanno aggiunto tubi e cavi, oltre a sistemi complessi e altri di produzione dell’energia, aggiungendo così gli organi e la stessa circolazione sanguigna. Le telecomunicazioni hanno aggiunto i nervi e, infine, le più recenti tecnologie informatiche hanno dato un sistema nervoso centrale a questo organismo complesso, capace a questo punto di controllare ogni funzione.E’ un fenomeno che può essere visto sia su scala globale sia su scala minima, relativa ai singoli edifici. La struttura tipica dei network, con i suoi centri abitativi e di controllo, i suoi legami multipli, i suoi processi dinamici e le sue interdipendenze, è la stessa per i singoli sistemi nervosi, da quello umano (composto da neuroni, assoni, sinapsi) ai circuiti digitali (che hanno memorie e passaggi di elettroni) fino ai sistema avanzati di trasporti, che hanno vie di comunicazione di oggetti e persone, su terra o nell’aria.Reti più esteseQuesti network, poi, tutti di differenti dimensioni, sono a loro volta integrati in reti via via più grandi, che possiedono una molteplicità di funzioni. Il nostro ruolo nelle reti varia continuamente, a seconda delle nostre relazioni, di tipo sociale, culturale e anche politiche. Noi possiamo essere attori-protagonisti, semplici fruitori oppure operatori attivi e, ancora, gestire centri di controllo, comportarci da ospiti oppure da turisti o addirittura ricoprire ruoli negativi, per esempio di invasori, di dirottatori o di prigionieri. Questo proliferare dei network - e la nostra crescente dipendenza dalle reti - ha provocato una graduale inversione delle relazioni tra le barriere e i legami nelle città.Gli ideogrammi memorabiliL’uso antico di rappresentare un agglomerato urbano attraverso la sua cinta di mura (e quindi attraverso i confini che la racchiudono e la separano dal resto dell’ambiente circostante) non è più in grado da tempo di raffigurare la realtà: già a metà degli Anni 50, infatti, l’«ideogramma» più memorabile di Londra era diventato la sua grande metropolitana, mentre quello di Los Angeles era la sterminata mappa delle sue «freeways», le grandi autostrade: cavalcare questi network era ciò che faceva di una persona un londinese oppure un losangelino. E infatti tutta la storia recente della crescita urbana non è stata certo un susseguirsi di mura, come accadeva nel Medio Evo e nel Rinascimento, ma un’espansione accelerata, e spesso incontrollata, dei suoi confini, costantemente mediata da nuove connessioni.Negli ultimi anni, tuttavia, è l’intricato (e ormai impossibile da prevedere) diagramma di Internet a essere diventato l’icona più vivida del processo della globalizzazione. Ora, semplicemente digitando una password, è possibile dissolvere i confini delle proprie attività: non siamo più circondati da mura, ma soltanto dai limiti delle nostre connessioni.Il controllo del territorioIl riconoscimento ufficiale di questo nuovo modo di essere, e delle profonde implicazioni che ha anche dal punto di vista politico e del controllo del territorio, è arrivato un anno dopo gli attentati dell’11 settembre, quando il «Critical Infrastructure Protection Board» della Presidenza degli Stati Uniti ha scritto (per la verità con un po’ di ritardo) in un suo report: «La nostra economia e la sicurezza nazionale sono ormai completamente dipendenti dalle infrastrutture e dalle tecnologie dell’informazione.Un network di reti supporta direttamente le operazioni di tutti i settori produttivi e sociali, dall’energia ai trasporti alla finanza, passando per la sanità pubblica, l’industria e l’agricoltura, e arrivando a controllare anche oggetti fisici, come i treni e gli oleodotti, allargandosi fino alle operazioni dei grandi mercati finanziari».Questo è un segno del fatto che la connettività è definitivamente diventata la caratteristica principale della nostra condizione urbana di uomini e donne del XXI secolo. E’ significativo che l’utilizzo delle nuove tecnologie non vada a discapito delle strutture precedenti: è assolutamente possibile, infatti, realizzare combinazioni costruttive del «nuovo» e del «vecchio», soprattutto quando quest’ultimo è, in realtà, «l’antico» e va quindi preservato a ogni costo. In molte città europee, ad esempio, l’introduzione dei sistemi wireless ha permesso di rivitalizzare antichi spazi urbani, supportando attività ad alta tecnologia.L’accesso universaleEcco perché quello dell’accesso universale alle nuove tecnologie è un problema che va affrontato immediatamente, e con azioni concrete. Nel mio libro «High technology and low income communities» ho suggerito una serie di iniziative necessarie per fare in modo che anche le comunità con minori mezzi economici, nei Paesi in via di sviluppo ma anche in non poche nazioni occidentali, possano sperimentare i benefici delle nuove scoperte tecnologiche, e non limitarsi quindi a subirle passivamente.Innanzitutto bisogna fare in modo che questi soggetti diventino produttori e non semplici fruitori delle nuove tecnologie. Inoltre, i mezzi di comunicazione di nuova generazione vanno utilizzati per riuscire a migliorare il dialogo tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Importante, infine, quando si affronta la questione-chiave del «digital divide», è che si garantisca un’educazione completa alle giovani generazioni, ma anche agli adulti, insegnando loro come poter trarre il massimo vantaggio dalle conquiste più recenti.Qualcosa si sta già facendo: progetti come il computer portatile da 100 dollari, sviluppato proprio al MIT, possono fare molto per ridurre il gap digitale e anche la possibilità data da alcune città come San Francisco di utilizzare gratis le reti wireless. Schemi innovativi di microcredito, inoltre, sono già operativi per dare una mano a chi non ha abbastanza dollari per accedere all’hi tech e fruirne nel migliore dei modi.La forza della fantasiaUn altro problema in campo, però, è il timore che il proliferare delle reti e delle connessioni finisca per limitare la sfera della libertà personale. Sono convinto che questo sia - e che resterà a lungo - una questione aperta ed enorme.Il punto, oggi, è che non c’è un rimedio semplice e semplicemente di tipo «tecnologico»: l’aspetto essenziale è che i cittadini devono diventare sempre più consapevoli dei pericoli per la loro privacy e che, poi, ci sia sempre un vigoroso dibattito, oltre a una resistenza informata contro tutti i tentativi dei governi e delle grandi industrie di controllare la vita delle persone.Il futuro di Internet non è un’inevitabile conseguenza dello sviluppo tecnologico, ma è qualcosa che dev’essere continuamente immaginato e poi guidato.
Testo raccolto da Pier David Malloni

Chi è Mitchell, ArchitettoRUOLO: E’ PROFESSORE DI ARCHITETTURA E «MEDIA ARTS» E DIRIGE IL GRUPPO «SMART CITIES» AL MEDIA LABRICERCHE: INTEGRAZIONE TRA SPAZI URBANI E SPAZI DIGITALI