domenica 28 ottobre 2007

"Il grattacielo non oscurerà la mole"


Renzo Piano guarda i disegni e i plastici che da oggi al 13 gennaio 2008 sono esposti a Palazzo Madama
RENATO RIZZO
TORINO«Un grattacielo, a Torino, io l’ho già "costruito". E’ una torre che, invece d’essere verticale, è orizzontale: si chiama Lingotto. Allora l’ispirazione partiva inevitabilmente dalla forza della memoria evocata dall’ex fabbrica, in questo caso la spinta arriva dalla ricerca d’una sostenibilità ambientale, sociale e culturale. Ma alla base di tutto, qui come per l’immensa struttura di via Nizza, c’è sempre la voce del luogo: i suggerimenti che ti offre il contesto, la ricerca degli agganci possibili con la città. Di più: come fare in modo che la città adotti l’opera senza traumi». Renzo Piano guarda i disegni e i plastici che da oggi al 13 gennaio 2008 sono esposti a Palazzo Madama e che mostrano la pianta del capoluogo subalpino con quella sorta di astronave atterrata sulla Spina 2: il «suo» grattacielo progettato per Intesa-Sanpaolo. «Vede - spiega - come si integra con la grandiosità di quest’area?». Dipende dai punti di vista e dalle interpretazioni: certi suoi colleghi, intellettuali e non pochi politici sostengono che la torre, o il «torrone» come qualcuno già l’ha definita, sarebbe un corpo estraneo nello «sky-line» di Torino.«È un edificio che non è né aggressivo né arrogante. Non s’impone al contesto in cui sorge: è una costruzione che sconfinerà in un parco e sorge in una zona di grande ampiezza e ariosità. Le sue caratteristiche sono la leggerezza e la sostenibilità. E, in più, la capacità di riflettere l’atmosfera della città».Una battuta per chi storce il naso di fronte al suo lavoro.«La discussione è sempre benvenuta, purché poggi su basi vere. Purtroppo, oggi, c’è la tendenza a radicalizzare il dibattito. Si parla tanto di modernità e di diffidenza nei confronti di ciò che questo termine sottende: ma che cosa significa davvero modernità? Nel suo nome sono state partorite autentiche schifezze, ma non dimentichiamo che anche la Mole Antonelliana, ai suoi tempi, era moderna. I tram? Non erano più moderni dei bus che li hanno sostituiti? Sono valutazioni che ci porterebbero lontano».Architetto, torniamo al grattacielo: ci spiega da dove derivano la sostenibilità e leggerezza di cui parla?«Incominciamo dalla struttura: è di vetro, darà all’edificio un aspetto trasparente. Meglio ancora, brillante. La torre "respirerà". Nel realizzare i solai in cemento armato, per esempio, abbiamo fatto in modo che catturassero il fresco delle notti, una caratteristica del clima estivo di Torino. Questa ventilazione naturale consentirà, l’indomani, d’accendere gli impianti d’aria condizionata tre-quattro ore più tardi. Con un energico taglio alla bolletta. E, poi, non dimentichiamo l’attenzione che abbiamo dedicato alle esigenze della gente».Vuol dire che avete voluto coniugare insieme lavoro e svago in un oggetto che riguarda pur sempre una grande banca? «Lo sforzo principale è stato proprio questo: evitare che la torre apparisse come un emblema del potere. Smontare, cioè, la simbologia quasi connaturata allo stereotipo del grattacielo. E abbiamo tentato di farlo aprendolo alla fruizione pubblica. Ogni costruzione è il racconto d’una storia che si sviluppa frammento dopo frammento: questa non vuole raccontare storie d’arroganza».La gente, allora. Come potrà godere di quella che lei ha definito «una lanterna magica»?«C’è il grande parco dove passeggiare nel verde, l’asilo per portarci i bambini, i bar, il ristorante panoramico, la pinacoteca, la terrazza che offre una visione magnifica della città con la cerchia delle montagne e il fiume che scorre pigro, in lontananza. Lassù, l’ultimo piano a 180 metri: il luogo che chiameremo "del sogno", "della contemplazione". E, poi, c’è l’auditorium, il luogo dello svago e della cultura, ricavato nella parte più bassa della torre. Io voglio che le persone, quando sollevano gli occhi, vedano questa sala, non l’ufficio del presidente della banca».