mercoledì 3 ottobre 2007

Storia dell'urbanistica di Vienna



Vienna e la sua trasformazione urbanistica.


"Le città imparano a pensare"

William J. Mitchell - La Stampa 03.10.2007 Tuttoscienze

"Le città imparano a pensare"

William Mitchell: contro il traffico ispiriamoci ai carrelli degli aeroporti
WILLIAM J. MITCHELL
MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY - USAChe sia tramite cavi o connessioni wireless, la Rete ha avvolto il mondo in modo sorprendentemente pervasivo. Per ora si limita a unire i singoli individui, ma nei prossimi 10 anni arriveremo a connettere tra loro anche le singole «cose»: edifici, dispositivi, elettrodomestici, auto. Tutto avrà il ruolo di nodo del network. È una vera e propria architettura nuova, tutta da studiare: le connessioni via cavo forniscono le infrastrutture e quelle wireless la mobilità, mentre i mezzi elettronici sempre più piccoli e poco costosi offrono punti d’accesso ovunque, le memorie digitali e le incrementate capacità di calcolo creano forme di intelligenza artificiale e, infine, i software e i contenuti on-line offrono funzioni sempre più diversificate.Le possibili applicazioni di questa rivoluzione sono infinite, così come i vantaggi che ne derivano. Strumenti sempre più piccoli e ormai quasi indossabili permettono di estendere le capacità individuali e consentono di liberare dai luoghi fissi attività un tempo sedentarie. Così la digitalizzazione delle comunicazioni tra le singole persone sta facendo nascere nuove dinamiche interpersonali. Interi edifici e anche intere città si trasformano in «macchine pensanti», che rispondono in modo autonomo e intelligente ai diversi cambiamenti del mondo esterno.Mobilità sostenibileNel nostro gruppo di lavoro al Massachusetts Institute of Technology - per esempio - stiamo studiando come creare un sistema di mobilità urbana sostenibile, efficiente dal punto di vista energetico e intelligente, con progetti come quello delle «Smart Cities», le città intelligenti.Un caso emblematico di come la connettività trasformi la mobilità urbana è il nostro «Car City Project». Stiamo progettando un sistema componibile di piccole auto per due passeggeri da mettere a disposizione degli utenti nelle aree urbane più densamente popolate. Questi veicoli dovrebbero sfruttare le infrastrutture già esistenti, come le metropolitane e le linee degli autobus, per creare un network di trasporti intelligente e alternativo rispetto a quelli tradizionali: piazzando queste auto in una serie di punti strategici, si darà ai cittadini la possibilità di combinare l’efficienza dei trasporti collettivi con la libertà della mobilità individuale.Nello schema che stiamo elaborando i punti di raccolta ricevono i veicoli e li ricaricano grazie all’energia elettrica: un po’ come i carrelli-bagagli negli aeroporti, l’utilizzatore arriva e prende la prima auto della fila. Questa - che abbiamo soprannominato «Zero car» - avrà un sistema di controllo completamente computerizzato e il guidatore lo dirigerà senza utilizzare i comandi tradizionali, come il volante, ma unicamente attraverso impulsi wireless al computer.Dati in tempo realeIn altri esperimenti, poi, abbiamo testato la possibilità di ottenere ed elaborare informazioni in tempo reale da tutte le apparecchiature elettroniche connesse in Rete e presenti in una città, ottenendo così indicazioni dettagliate sulla mobilità. Un esempio è il progetto «WikiCity Rome», messo in atto nell’ultima Notte Bianca a Roma: grazie a un sistema sviluppato dal mio gruppo di lavoro i dati delle reti di cellulari, di palmari e di dispositivi Gps, piazzati sui mezzi pubblici e sui taxi, sono stati raccolti e processati e hanno quindi fornito una mappa in tempo reale, dalla quale si ricavavano informazioni preziose sulla situazione del traffico, sulla presenza di punti critici e sugli itinerari alternativi da seguire.Si tratta di esempi di una realtà più vasta: il mondo nel suo insieme - e, scendendo, le metropoli e gli edifici che le compongono - stanno sviluppando un sistema nervoso artificiale tutto nuovo: si tratta di una conquista cruciale del XXI secolo. Se le case e i palazzi preindustriali sono lo scheletro e la pelle, le rivoluzioni industriali hanno aggiunto tubi e cavi, oltre a sistemi complessi e altri di produzione dell’energia, aggiungendo così gli organi e la stessa circolazione sanguigna. Le telecomunicazioni hanno aggiunto i nervi e, infine, le più recenti tecnologie informatiche hanno dato un sistema nervoso centrale a questo organismo complesso, capace a questo punto di controllare ogni funzione.E’ un fenomeno che può essere visto sia su scala globale sia su scala minima, relativa ai singoli edifici. La struttura tipica dei network, con i suoi centri abitativi e di controllo, i suoi legami multipli, i suoi processi dinamici e le sue interdipendenze, è la stessa per i singoli sistemi nervosi, da quello umano (composto da neuroni, assoni, sinapsi) ai circuiti digitali (che hanno memorie e passaggi di elettroni) fino ai sistema avanzati di trasporti, che hanno vie di comunicazione di oggetti e persone, su terra o nell’aria.Reti più esteseQuesti network, poi, tutti di differenti dimensioni, sono a loro volta integrati in reti via via più grandi, che possiedono una molteplicità di funzioni. Il nostro ruolo nelle reti varia continuamente, a seconda delle nostre relazioni, di tipo sociale, culturale e anche politiche. Noi possiamo essere attori-protagonisti, semplici fruitori oppure operatori attivi e, ancora, gestire centri di controllo, comportarci da ospiti oppure da turisti o addirittura ricoprire ruoli negativi, per esempio di invasori, di dirottatori o di prigionieri. Questo proliferare dei network - e la nostra crescente dipendenza dalle reti - ha provocato una graduale inversione delle relazioni tra le barriere e i legami nelle città.Gli ideogrammi memorabiliL’uso antico di rappresentare un agglomerato urbano attraverso la sua cinta di mura (e quindi attraverso i confini che la racchiudono e la separano dal resto dell’ambiente circostante) non è più in grado da tempo di raffigurare la realtà: già a metà degli Anni 50, infatti, l’«ideogramma» più memorabile di Londra era diventato la sua grande metropolitana, mentre quello di Los Angeles era la sterminata mappa delle sue «freeways», le grandi autostrade: cavalcare questi network era ciò che faceva di una persona un londinese oppure un losangelino. E infatti tutta la storia recente della crescita urbana non è stata certo un susseguirsi di mura, come accadeva nel Medio Evo e nel Rinascimento, ma un’espansione accelerata, e spesso incontrollata, dei suoi confini, costantemente mediata da nuove connessioni.Negli ultimi anni, tuttavia, è l’intricato (e ormai impossibile da prevedere) diagramma di Internet a essere diventato l’icona più vivida del processo della globalizzazione. Ora, semplicemente digitando una password, è possibile dissolvere i confini delle proprie attività: non siamo più circondati da mura, ma soltanto dai limiti delle nostre connessioni.Il controllo del territorioIl riconoscimento ufficiale di questo nuovo modo di essere, e delle profonde implicazioni che ha anche dal punto di vista politico e del controllo del territorio, è arrivato un anno dopo gli attentati dell’11 settembre, quando il «Critical Infrastructure Protection Board» della Presidenza degli Stati Uniti ha scritto (per la verità con un po’ di ritardo) in un suo report: «La nostra economia e la sicurezza nazionale sono ormai completamente dipendenti dalle infrastrutture e dalle tecnologie dell’informazione.Un network di reti supporta direttamente le operazioni di tutti i settori produttivi e sociali, dall’energia ai trasporti alla finanza, passando per la sanità pubblica, l’industria e l’agricoltura, e arrivando a controllare anche oggetti fisici, come i treni e gli oleodotti, allargandosi fino alle operazioni dei grandi mercati finanziari».Questo è un segno del fatto che la connettività è definitivamente diventata la caratteristica principale della nostra condizione urbana di uomini e donne del XXI secolo. E’ significativo che l’utilizzo delle nuove tecnologie non vada a discapito delle strutture precedenti: è assolutamente possibile, infatti, realizzare combinazioni costruttive del «nuovo» e del «vecchio», soprattutto quando quest’ultimo è, in realtà, «l’antico» e va quindi preservato a ogni costo. In molte città europee, ad esempio, l’introduzione dei sistemi wireless ha permesso di rivitalizzare antichi spazi urbani, supportando attività ad alta tecnologia.L’accesso universaleEcco perché quello dell’accesso universale alle nuove tecnologie è un problema che va affrontato immediatamente, e con azioni concrete. Nel mio libro «High technology and low income communities» ho suggerito una serie di iniziative necessarie per fare in modo che anche le comunità con minori mezzi economici, nei Paesi in via di sviluppo ma anche in non poche nazioni occidentali, possano sperimentare i benefici delle nuove scoperte tecnologiche, e non limitarsi quindi a subirle passivamente.Innanzitutto bisogna fare in modo che questi soggetti diventino produttori e non semplici fruitori delle nuove tecnologie. Inoltre, i mezzi di comunicazione di nuova generazione vanno utilizzati per riuscire a migliorare il dialogo tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Importante, infine, quando si affronta la questione-chiave del «digital divide», è che si garantisca un’educazione completa alle giovani generazioni, ma anche agli adulti, insegnando loro come poter trarre il massimo vantaggio dalle conquiste più recenti.Qualcosa si sta già facendo: progetti come il computer portatile da 100 dollari, sviluppato proprio al MIT, possono fare molto per ridurre il gap digitale e anche la possibilità data da alcune città come San Francisco di utilizzare gratis le reti wireless. Schemi innovativi di microcredito, inoltre, sono già operativi per dare una mano a chi non ha abbastanza dollari per accedere all’hi tech e fruirne nel migliore dei modi.La forza della fantasiaUn altro problema in campo, però, è il timore che il proliferare delle reti e delle connessioni finisca per limitare la sfera della libertà personale. Sono convinto che questo sia - e che resterà a lungo - una questione aperta ed enorme.Il punto, oggi, è che non c’è un rimedio semplice e semplicemente di tipo «tecnologico»: l’aspetto essenziale è che i cittadini devono diventare sempre più consapevoli dei pericoli per la loro privacy e che, poi, ci sia sempre un vigoroso dibattito, oltre a una resistenza informata contro tutti i tentativi dei governi e delle grandi industrie di controllare la vita delle persone.Il futuro di Internet non è un’inevitabile conseguenza dello sviluppo tecnologico, ma è qualcosa che dev’essere continuamente immaginato e poi guidato.
Testo raccolto da Pier David Malloni

Chi è Mitchell, ArchitettoRUOLO: E’ PROFESSORE DI ARCHITETTURA E «MEDIA ARTS» E DIRIGE IL GRUPPO «SMART CITIES» AL MEDIA LABRICERCHE: INTEGRAZIONE TRA SPAZI URBANI E SPAZI DIGITALI